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FOURNI 2002

 

 

 

Agosto 2002


Giungiamo sull’isola con un piccolo caicco partito in tarda mattinata da Agios Kirikos, il porto principale di Ikaria, dopo molto ritardo dovuto al rinforzarsi del vento. Il meltemi si insinua fra le grosse isole montuose di Ikaria e Samos frangendosi proprio su Fourni e costringendo il caicco ad un viaggio tutto controvento.

Abbiamo caricato la Klepper doppia separata in tre sacche, più il necessario cambio ed i sacchi a pelo per dormire in spiaggia o dove capita.

Ci accompagna una coppia di amici in trasferimento giornaliero per gustarsi le famose aragoste di Fourni in una delle taverne sul porto. Non so bene se questa fama culinaria dell’isola sia ancora reale e se le aragoste vengano ancora pescate nei dintorni od ormai recuperate in qualche mercato ittico più importante, sta di fatto che la storica economicità di un tale pasto non è più tale…il turismo di massa ha colpito anche in questo luogo sperduto dell’Egeo.

Il programma era quello di montare subito dopo pranzo il kayak e partire per cercarsi una spiaggia dove passare la notte, ma il forte vento non ci permette di prendere il largo se non con il rischio di prendersi una forte innaffiata di acqua salata. Inoltre non siamo molto sicuri di che tipo di mare troveremo nello stretto passaggio fra l’isola e lo scoglio allungato di Kesiria che funge da spartiacque fra la ventosa costa settentrionale e quella sottovento meridionale.

Così decidiamo, dando anche retta allo stomaco che già pregusta una cena a base di pesce, di passare la notte in paese sperando in un miglioramento del tempo.

Montiamo il kayak e lo lasciamo in spiaggia a fianco di molte altre barchette tirate a secco fidandoci della tranquillità degli abitanti dell’isola e del fatto che a nessuno verrebbe in mente di rubare un kayak per poi buttarsi in mare affrontando un meltemi piuttosto aggressivo.

Panoramica della spiaggia di Mesachti
Sulla spiaggia di Fourni

Salutiamo i nostri amici che tornano ad Ikaria con l’ultimo caicco, stiviamo tutti i bagagli nel kayak e ci dirigiamo verso l’interno del paese. Una strada stretta ed alberata porta, leggermente in salita, verso il centro sociale e religioso, la piazza della chiesa circondata da qualche caffè, mentre numerosi sono i negozietti sparsi lungo il percorso.

Alla sera, dopo cena, questo è il centro della vita del paese, frequentato da orde di ragazzini, dai pochi turisti che decidono di passare la notte sull’isola e dagli isolani che dalle loro postazioni sull’uscio delle porte di casa o sulle sgangherate sedie di legno impagliate dei caffè osservano il via vai della gente.

Proseguiamo fino alla fine del paese per inoltrarci in un sentiero roccioso che porta ad una chiesa posta sul crinale a metà dell’isola e da cui vogliamo osservare il tramonto. La chiesa risalta sulla costa rocciosa color terra con il suo splendente bianco calce.

Molte sono le chiese sull’isola, piazzate nei punti panoramici, sui promontori, spesso con il cimitero annesso ed un cortile, o sagrato, piantumato, delimitato da muri imbiancati a calce e da cui si gode di panorami incredibili sul resto dell’isola ed oltre, sul mare.

Man mano che saliamo si allarga il panorama verso ovest ingrandendo ad ogni sosta la visione su Ikaria, prima in parte nascosta da Thimaina. Giunti in prossimità della chiesa ci accorgiamo degli addobbi luminosi posti sui rami dei pochi alberi che si trovano nel recinto/sagrato che funge anche da balcone belvedere sul paese, sulla mezzaluna del porto e su parte del piccolo arcipelago verso sud-ovest.

Ci viene in mente che siamo vicino alla festa del quindici di agosto, in cui molte chiese vengono addobbate e sono sede di feste religiose che seguono la celebrazione della messa serale. Ci limitiamo a sostare qualche tempo nel recinto evitando di interferire con i preparativi della messa all’interno della piccola chiesa per goderci il panorama e la discesa del sole dietro le alte montagne di Ikaria.

Durante il ritorno incrociamo molte persone, anche anziane, che arrancano in direzione contraria per giungere in tempo alla celebrazione della messa. Probabilmente il percorso sullo scomodo sentiero è anch’esso elemento importante, la penitenza, per potersi conquistare l’ammissione alla preghiera in uno dei tanti luoghi dedicati ai santi sparsi per le isole greche.

Ci fiondiamo affamati nella stessa taverna del mezzogiorno per ingozzarci di prodotti ittici sperando che siano ancora pescati dal proprietario a bordo del suo enorme caicco. Abbiamo notato a pranzo l’oste, tipo molto scafato e molto levantino, in una veloce uscita in mare, tornare con un bel carico di pesce ed aragoste. L’uscita ed il repentino ritorno in porto ci hanno fatto però venire qualche dubbio sulla realtà della pesca in luogo, tanto da farci immaginare che il bravo oste/pescatore avesse organizzato appena dietro l’isola di Thimaina, in una piccola baietta, una serie di celle frigorifere a cui fare ricorso per “pescare” le sue vittime, aragoste comprese.

Nonostante questi pensieri, e da bravi cittadini, ci è sembrato di avere ben cenato ed a prezzo ancora modico.

Non ci resta che attrezzarci per trovare un posto dove passare la notte. Scartiamo l’idea di stenderci di fianco al kayak, a ridosso della spiaggia, per il forte vento e l’aria salmastra che tira dal mare, giriamo un po’ all’interno del paese e mentre ritorniamo verso il porto, attraversiamo il sagrato di un’altra chiesa posta a sud del paese, all’inizio della strada che porta alla spiaggia di Kampi, in prossimità del cimitero. Cioè, è il sagrato stesso della chiesa che prosegue per fondersi con l’ingresso del cimitero!

Dato che la protezione di due bassi muretti ai lati della chiesa ci avrebbe permesso di stendere i sacchi a pelo al riparo dal vento, decidiamo di attrezzare il posto per la notte, nonostante la vista diretta sulle prime lapidi appena oltre l’arco di ingresso del cimitero.

La ristrettezza del passaggio fra la chiesa ed il muretto ci costringe ad allineare stuoie e sacchi a pelo uno ai piedi dell’altro, sicuri della tranquillità del luogo e della sufficiente lontananza dal centro abitato per passare una serena notte sotto un cielo stellato.

Panoramica della spiaggia di Mesachti
La sistemazione per la notte

Non facciamo in tempo ad addormentarci, che lo stretto passaggio in cui pensavamo di restare al coperto dalla vista degli abitanti del paese si trasforma in via preferenziale per numerose persone che, in entrambe le direzioni, passano durante un imprecisato lasso di tempo. Il nostro nascondiglio non è più tale, anzi rischiamo di costituire anche intralcio ed inciampo con i bordi delle stuoie. Così, senza alcun accordo preliminare, decidiamo entrambi di fare comunque finta di dormire per evitare le probabili dimostrazioni di disapprovazione dei passanti, ma soprattutto la vergogna per la figura da pezzenti nel non voler spendere due euri nell’affitto di una camera.

Passata comunque la notte in un riposo spesso interrotto dal passaggio e da rumori provenienti dal cimitero vicino, ci alziamo per constatare che il vento ha deciso di mantenere la violenza del giorno precedente. Dopo un veloce consulto decidiamo di imbarcarci comunque, cercando di raggiungere in fretta la costa sottovento dall’altra parte dell’isola.

Prima di ciò, accade un fatto piuttosto increscioso e di cui ci scusiamo ancora con i fournioti.

Alzato di prima mattina, mi metto alla ricerca di un posto dove poter orinare. Non trovando un bagno pubblico (difficile trovarne sulle isole, come d’altronde è anche impossibile trovarne nei centri delle più rinomate città italiane), scendo in spiaggia e faccio finta di immergermi restando a mezzo busto per poi tornare indietro simulando la sorpresa di trovare l’acqua ancora troppo fredda per un bagno mattutino. Nel frattempo riesco a fare ciò di cui avevo bisogno.

Poco dopo, Massimo si sveglia anche lui in preda allo stesso bisogno. Credendo che io avessi avuto la sua stessa idea, si porta dall’altro lato della chiesa, in un corridoio ancora più stretto a ridosso di una parete rocciosa, ed al riparo da sguardi indiscreti si libera dall’eccesso di liquido.

Tornati entrambi ai sacchi a pelo, mentre siamo intenti a ripiegare il tutto, si presenta un vecchietto, probabilmente l’addetto alla manutenzione della chiesa, che mi assale con un’orda di termini arcaici di cui riconosco qualche suffisso ancora in uso nella terminologia medica. Capendo che non parlo, né capisco il greco, mi fa cenno di seguirlo per farmi vedere, nella mia vergogna più profonda, un rivolo di orina che dal lato nascosto della chiesa si fa strada fra le pietre del selciato cercando di raggiungere il sagrato.

Capisco immediatamente cosa è successo e mi “sprofondo” in mille scuse pronunciando decine di signòmi, assicurando il ferreo vecchietto che avrei sistemato il tutto.

Pensando alla bravata di Massimo, magari ancora annebbiato dalla nottata non proprio riposante, mi procuro un paio di bottiglie di acqua salata per sciacquare il rivolo giallognolo e disperderne l’inequivocabile caratteristica cromatica ed olfattiva.

Dopo un breve chiarimento con il compagno di avventura, attendiamo che il sole compia il suo dovere facendo evaporare il misfatto, recuperiamo le nostre cose e ci dirigiamo veloci verso il kayak avendo l’impressione che ogni sguardo nei nostri confronti sia pieno di rimprovero per l’accaduto.

Questo fatto ci da una spinta ulteriore a deciderci di affrontare il vento e le onde per uscire da quella situazione di vergogna.

Carichiamo i pochi viveri che fortunatamente abbiamo comprato il giorno prima e ci buttiamo in acqua affrontando il forte mare di prua, le cui fredde sferzate ci incitano a proseguire e doppiare la punta sud della baia.

Giunti alla punta rocciosa viriamo verso lo stretto creato dalla vicina isoletta di Kesiria affrontando all’inizio furiose onde laterali per poi averle di poppa con il conseguente difficile lavoro di timone per far surfare il kayak in linea con l’onda.

La velocità che raggiungiamo ci porta in prossimità dello stretto passaggio in pochi minuti, neanche il tempo per renderci conto che l’imbuto creatosi fra le due coste rocciose causa un aumento della velocità delle onde e la formazione di una serie di rapide in veloce successione. Non c’è il tempo per fermarsi sotto costa ed organizzare una rotta, così decidiamo di stringere la presa sulle pagaie ed aumentare la velocità di rotazione delle stesse per riuscire a passare nel punto più centrale possibile, evitando scogli e scoglietti ai lati, affrontando spruzzi laterali e frontali che ci infradiciano completamente.

Non appena passiamo il punto più stretto, la spinta dell’ultima onda ci proietta in un altro tempo ed in un altro luogo. Sembra di avere passato un varco spazio temporale tanti sono i cambiamenti che percepiamo intorno a noi.

Si calma di colpo il vento e l’acqua si presenta davanti a noi in una enorme distesa piatta, appena baluginante per i riflessi del sole ancora basso. Torniamo a sentire le cicale, il cui frinire era prima coperto dal forte rumore di sottofondo delle folate che si infilavano nello stretto roccioso.

Infine le rocce della costa lasciano spazio ad una bella piccola baia con due spiagge ombreggiate da tamerici, rimane solo una leggera brezza al centro della baia a ricordarci che dalla parte dell’isola da cui siamo appena arrivati imperversa un vento teso e rumoroso.

La baia è raggiungibile con una comoda strada ed è dotata di alcune casette con camere in affitto e di una taverna. Sulla sommità del promontorio che la divide dal paese di Fourni sono appollaiati alcuni mulini a vento abbandonati, a memoria di un’antica attività legata ad un ecologico utilizzo di energia naturale, disponibile in quantità pressoché illimitata sulle isole greche.

Panoramica della spiaggia di Mesachti
La baia di Kampi

Un altro promontorio porta nella baia di Kampi con tre spiaggette senza ombra. L’isola è effettivamente un continuo frastagliamento ininterrotto di baie separate da numerose lingue di terra, posto ideale per i pirati di qualche centinaio di anni fa che sembra l’avessero scelta come base logistica per le loro scorribande. Una strada percorre questa propaggine sud dell’isola raggiungendo numerose baie fra cui anche questa. Una piccola grotta poco profonda si trova lungo il promontorio che prosegue verso sud.

La baia di Petrokopio è molto profonda ed è dotata di due spiagge, una a sinistra, sotto una cava, con fondo di ghiaia ed un po’ di catrame sul bagnasciuga, e l’altra a destra con una piccola casetta, un molo ed alcuni tamerici piantati dall’uomo in file regolari.

Panoramica della spiaggia di Mesachti
La baia di Petrokopio

Le spiagge dell’isola sono piccole sorprese incastonate nell’intorno roccioso delle punte che, come tante dita di una mano, si allungano verso il mare aperto. Una grossa fenditura nella roccia a sinistra fa pensare ad un crollo più o meno recente di un costone roccioso che ha lasciato una lunga ferita aperta nel fianco del promontorio.

Il percorso continua ad essere caratterizzato da numerosi brulli promontori che delimitano altrettante baie al fondo delle quali si trovano spiagge, in genere con fondo di ghiaia, più o meno isolate e raggiungibili dalla strada.

La punta sud dell’isola è costituita da due lunghe dita rocciose che delimitano un profondo e stretto golfo. La vista spazia fino a Patmos, su cui si distingue la città vecchia come un promontorio colorato di bianco, il piccolo arcipelago di Arki e Lipsi e, più vicini, gli isolotti di Makronisi.

Passata la punta ci si trova di fronte l’isoletta di Ag. Minas su cui si trovano un monastero e parecchie baie protette dove viene sviluppata un’intensiva piscicoltura. Nello sfondo si innalza dal mare la montuosissima Samos.

Ricomincia a farsi sentire il vento da nord, dato che ora si risale un tratto di costa dirigendo proprio in quella direzione.

Un’altra serie di belle spiaggette ci porta a raggiungere un luogo incantato, dalle acque calmissime. La spiaggia più grande riparata dal vento e rivolta verso sud ha due casette appena arretrate, alcuni tamerici, un moletto con alcune barche ed una piccola chiesa adagiata sul promontorio pietroso. L’acqua, calma e trasparente, si trasforma in una enorme lente che ci permette di leggere il fondale roccioso e pieno di vita.

Panoramica della spiaggia di Mesachti
Spiaggia da pesca

Appena prima di questo angolo incredibile troviamo una spiaggia di ciottoli, isolata, su cui decidiamo di sbarcare per la pausa pranzo.

Panoramica della spiaggia di Mesachti
Spiaggia da pranzo

Massimo, da buon cacciatore di alta montagna, ha portato un fucile subacqueo con cui si propone di procurarci del pesce da arrostire sul fuoco, che sto allestendo in spiaggia al riparo di alcune pietre.

Panoramica della spiaggia di Mesachti
Cacciatore d'acqua

La legna da ardere non manca certamente, portata dalle mareggiate invernali ed accumulata sul fondo delle spiagge.

Per fortuna ci siamo portati qualche pomodoro ed un po’ di pane per integrare i pochi e piccoli pescetti quasi spappolati dalla fiocina oltre all’inaspettato polpetto che è giunto giusto in tempo per trasformarsi in aperitivo: alla piastra condito con olio e sale.

Panoramica della spiaggia di Mesachti
La preda più gradita

Panoramica della spiaggia di Mesachti
In acqua sembrava più grande!

Panoramica della spiaggia di Mesachti
Cucina casalinga in spiaggia

Si prosegue per giungere al punto più stretto dell’isola ed anche probabilmente più comodo per farci una discarica. Direttamente da uno spiazzo soprastante una spiaggetta si nota una frana di detriti, sacchetti e spazzatura varia che non si è neanche tentato di nascondere in qualche modo.

Molte sono le situazioni del genere che si notano sul mare e lungo le pendici di monti all’interno delle isole. Luoghi più o meno belli che vengono trasformati in discariche a cielo aperto, senza neanche tentare di nasconderle ricoprendole di terra, ma lasciando che il forte sole faccia la sua parte nel macerare il rifiuto umido e nel “cremare” spesso il rifiuto solido per autocombustione. Il tutto per assecondare il piacere di una bella passeggiata a piedi, in bicicletta od in canoa respirando odori alquanto molesti.

La costa si fa molto rocciosa e scoscesa assumendo una colorazione bianca predominante, con la presenza di una piccola grotta incastonata nella parete.

Kamari è costituito da pochi edifici residenziali, una spiaggia di ciottoli misti ad alghe piuttosto brutta, una fila di tamerici ed un moletto a cui sono attraccate diverse barche.

Ci si rende ancora conto che il vento tira di brutto dall’altra parte dell’isola dal fatto che scostandosi qualche metro dalla riva si è investiti da folate che fanno increspare la superficie del mare verso il largo. Stando molto a ridosso della costa invece si naviga molto tranquillamente su acque del tutto piatte.

L’isola di Ag. Minas è rocciosa e suddivisa nettamente in due parti caratterizzate da roccia terrosa e friabile a sud e da roccia più compatta e biancastra a nord.

Le uniche costruzioni sono la chiesa omonima e qualche semplice edificio adiacente, mentre nel grande golfo a metà dell’isola si trovano alcune baracche di pescatori che servono come punto di imbarco e sbarco per l’attività di piscicoltura che si svolge a ridosso dell’isola.

Dopo Kamari si trova una bella spiaggia sferzata però dal vento che giunge dall’interno dell’isola. Da questo punto comincia una parte dell’isola molto rocciosa ed a picco sul mare, disabitata e senza approdi proprio per la particolare conformazione montagnosa. Gli unici abitati sono Kampi e Chrysomilia rivolti verso il grosso golfo che guarda l’isola di Ikaria.

Passata la punta più orientale dell’isola torna a farsi sentire il meltemi. Avvicinandosi alla punta si intravedono le prime spume bianche delle onde formate e si sente il sibilo continuo delle ventate che aggirano il capo e muoiono nella tranquillità dello spazio marino ridossato.

Abbiamo un attimo di tentennamento che si trasforma subito in momentanea attesa per prepararci al combattimento, beviamo un po’ d’acqua, riposiamo un po’ polsi e spalle, indossiamo i giubbotti di salvataggio e ci buttiamo, a metà pomeriggio, nel momento di maggior forza raggiunto dal vento. D’altronde non abbiamo voglia di fermarci a fare campo nella sperduta spiaggetta precedente, né di attendere il tardo pomeriggio sperando in una riduzione della forza aerea.

Sbagliamo.

Passiamo la punta e ci investono vento e mare con tutta la forza raccolta dopo miglia e miglia di rincorsa per il mar Egeo, forza raddoppiata incanalandosi nello stretto fra Fourni e Samos.

L’avanzata è ancora affrontabile rompendo l’onda con una inclinazione leggera che ci porta però troppo verso il largo. Dobbiamo virare leggermente verso sinistra per tenerci più sotto costa ma dando troppo bordo all’onda che ci investe furiosamente da destra rovesciandosi spesso sulla coperta del kayak. E’ il caso di ringraziare la scelta della Klepper e della sua robusta e rigida struttura, oltre al bordo rialzato del pozzetto che evita l’entrata di eccessiva acqua sotto coperta. E’ anche il caso di dire che ci siamo incautamente affidati ad un copri pozzetto impermeabile piuttosto datato, il cui incartapecorimento non ci ha permesso di poterlo chiudere a dovere, tanto da dover rinunciare ad usarlo.

La costa, per quel poco che riusciamo a vedere, dato il costante impegno a mantenere la rotta, è molto impervia. Profondi canaloni portano a stretti golfi privi di approdo, battuti dalle onde e dal vento. La forza e costanza di quest’ultimo, come spesso lungo le coste nord delle isole, impedisce la crescita di alberature superiori a qualche rado e tenace cespuglio. Tutto il resto è roccia e sassi.

Accostiamo al riparo dal vento e costeggiamo il monte Korakas pensando di avere affrontato un bel tratto di mare con forte vento e di essercela cavata molto bene, quando giungiamo in prossimità della punta arrotondata che apre l’isola direttamente verso nord.

Se poco prima ci sembrava di esserci immersi in un caos di schiuma, vento e onde lunghe, ora ci scontriamo letteralmente contro un muro di vento ululante, onde tanto alte e lunghe da prendere tutti i cinque metri del kayak nel loro cavo. Saliamo e scendiamo dall’una all’altra non vedendo praticamente nulla intorno: quando ci troviamo nel cavo dell’onda ci si presenta all’orizzonte solo la cresta della seguente e quando la scavalchiamo siamo investiti da spuma bianca, salata e violenta come una frustata.

Proseguiamo con la consapevolezza che il vento non calerà prima di sera e con la sensazione di avanzare con estrema lentezza. Sappiamo che manca ancora parecchio per doppiare capo Alonaki, estrema punta nord dell’isola, per cui ci fermiamo giusto il tempo per decidere il da farsi.

A pagaie ferme il kayak è alla mercè delle onde e tende a mettersi di traverso con il grosso rischio di rovesciarsi o di riempirsi di eccessiva acqua. Con velocità ci consultiamo e decidiamo per una ritirata strategica verso Kamari dove penseremo meglio se fermarci per la notte ed attendere il giorno dopo o ritornare via terra al paese di Fourni.

Manovra decisamente difficile è quella di ruotare di 180 gradi il kayak evitando il pericolo di ribaltamento nel momento in cui ci si trova paralleli alla cresta dell’onda. Grazie al potente timone ed alla forza che riusciamo ancora imprimere alle pagaie, viriamo senza pericoli e ci mettiamo poppa al vento.

Di colpo sentiamo il kayak alleggerito e sospinto dal vento. Quest’ultimo cala di rumorosità mentre le onde che provengono da dietro cominciano a costituire un nuovo problema.

Non è proprio un piacere ricevere l’onda lunga, alta e spumeggiante da poppa in quanto tende ad imprimere all’imbarcazione una rotazione a destra o sinistra nel caso che questa non si trovi perfettamente perpendicolare alla sua direzione.

In questo caso il timone è la vera e propria ancora di salvezza perché riesce a tenere in rotta il kayak durante le numerose e veloci surfate. Trovandomi poi proprio io al timone in questo frangente devo scusarmi con il compagaiatore per le frequenti botte che gli ho dato alla testa con la pala della pagaia.

Infatti, per meglio prevedere l’approssimarsi dell’onda e la sua forza mi giravo spesso all’indietro con il viso perdendo di vista la traiettoria della pala che spesso si abbatteva sulla testa di Massimo. Lui, stoicamente e con grande fair play, non ha mostrato segni di cedimenti fisici al capo, né di cedimenti nervosi rivoltandosi verso il sottoscritto minacciandomi a sua volta con la pagaia. Forse, semplicemente, si è reso conto di dover prima portare in salvo l’equipaggio al riparo della prima punta riparata dal vento.

La ritirata non ci è sembrata una sconfitta, ma una soluzione ragionevole per evitare inutili e pericolosi approdi su rocce impervie e che non avremmo potuto lasciare se non con vento e mare calmo.

Torniamo quindi al molo di Kamari per decidere dopo una breve pausa di smontare il kayak e tornare in paese. Non ce la sentiamo di fermarci a dormire in spiaggia per poi riaffrontare un simile mare il giorno dopo.

Nella tranquillità del luogo facciamo tornare l’imbarcazione nelle fatidiche tre sacche e cominciamo a trasportarle verso la strada in forte salita che porta verso il tracciato principale dell’isola.

Passando in mezzo alle poche case di Kamari chiediamo se non ci sia un qualche servizio di autobus fino al porto e ci sentiamo rispondere con qualche parola di italiano. Ci fermiamo un poco a parlare per meglio fare presente la nostra situazione, fino al momento in cui qualcuno prende in mano il telefono e sembra accordarsi per qualcosa.

Dopo la telefonata ci spiegano che ci verrà a prendere una isolana con un pick-up, il mezzo di locomozione preferito dai greci, per portarci fino al porto.

Ci profondiamo in mille ringraziamenti senza sapere che il passaggio non è offerto bensì sarà a pagamento con sorpresa finale.

Arrivato il “taxi”, carichiamo il bagaglio nel cassone per prendere posto nell’abitacolo con la signora. Ringraziamo ancora le persone che ci hanno trovato un passaggio, ignari che saremmo proprio stati noi a fare guadagnare la giornata alla nostra autista.

Giungiamo tranquillamente in porto, scarichiamo il bagaglio e chiediamo quanto possiamo offrire per il disturbo, dato che la signora doveva comunque scendere in paese. Alla richiesta dell’equivalente di una cena per due con aragosta ci guardiamo stupiti ma decidiamo di non tentare di contrattare la cifra, ancora riconoscenti della strada che ci ha comunque fatto risparmiare.

Eccoci finalmente al porto, giunti non dal mare dopo aver compiuto il periplo dell’isola (sarà per un altro anno) ma, ignominiosamente, in auto dopo avere combattuto e perso la battaglia con il potente meltemi.

Sistemiamo questa volta i bagagli sul molo, proprio sotto un lampione ed a ridosso di alcune reti che ci riparano dal vento, per poi dirigerci verso una taverna a rifarci dell’esiguo pranzo pescato da Massimo.

Panoramica della spiaggia di Mesachti
Campeggio sul molo di Fourni

Bella la vita sportiva all’aria aperta, su di un kayak galleggiante su acque trasparenti, al calore di un sole implacabile…ma anche bello riposare seduti ad un tavolo davanti a due birre gelate raccontandosi i momenti trascorsi, le gioie e le pene.

Chiudiamo il tentativo di circumnavigazione di Fourni con una bella dormita sul molo in cemento del porto, in attesa del caicco del mattino che ci riporti ad Ikaria.

Panoramica della spiaggia di Mesachti
Vista di Fourni dal traghetto per Ikaria



 

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