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12 - da Toulouse a Marseillan Plage



Di prima mattina, ma non prima di una bella colazione a buffet (l’unico vero motivo per cui potrei preferire una stanza in albergo alla piu’ economica tenda), diamo appuntamento ad un taxi al porto, carichiamo i bagagli cercando di convincere il povero taxista che ci sarebbero stati tutti in macchina ed andiamo in stazione.

Giunti al treno ci troviamo di fronte una folla fantozziana di ragazzini adolescenti urlanti, famiglie complete di parenti fino al settimo grado, nonne con galline e valigie legate con lo spago, a cui aggiungiamo due spaesati individui con zaino in spalla e due mega sacche carrellate da circa venti chili l’una.

Cominciamo la simpatica procedura di avvicinamento alle porte del treno, identificate da nugoli di persone incastrate al loro interno come mosche verdi su una cacca o monoposto di formula uno alla prima chicanes del circuito di Monza appena dopo la partenza.
Comunque, Massimo riesce a farsi spazio in una porta spingendo avanti il suo carrellone. Non faccio in tempo a seguirlo che si intromette subito un numero imprecisato di persone che non mi riesce di allontanare neanche roteando in aria una pagaia lestamente estratta dalla mia sacca.

Mi vedo costretto a retrocedere immaginandomi gia’ a salutare Massimo al finestrino del treno gridandogli che cerchero’ di prendere il prossimo, quando, inaspettatamente, vedo aprirsi un varco ad un’altra porta. In verita’ la porta in questione non veniva presa in considerazione dalla gente in quanto impossibile riuscire ad infilarci dentro neanche un ombrello. Non importa, devo entrare.

Mi avvicino, faccio per sollevare il mega bagaglio facendo finta di non vedere con la coda dell’occhio le facce dei fortunati appesi ai maniglioni del treno che passano da un atteggiamento di curiosita’, a quello di incredulita’, poi a quello finale di terrore quando si accorgono che ho sollevato il bagaglione per cercare di sfondare il tappo umano sulla porta in questione.
Con non poca fatica e facendo finta, neanche tanto poi, di non capire le battutacce in francese, introduco il bagaglio nel poco spazio antistante la porta e riesco persino a girarmi di 180 gradi, nonostante lo zaino, per accomodarmi fra due bambini, una signora, il pannello in laminato e la sacca carrellata che devo reggere per evitare che cada su un altro bambino.

Una volta partito il treno il peggio e’ passato, puo’ sembrare di capire. Invece il peggio deve ancora venire sotto forma di calore insopportabile che si sprigiona dalle lamiere del treno che corre nelle soleggiate campagne francesi, e di mancanza d’aria e spazio per la calca incredibile e per l’impossibilita’ di aprire finestrini che, nel disimpegno fra due vagoni in cui mi trovo, non sono stati progettati.

Durante il tragitto, ad un certo punto vedo comparire Massimo che e’ riuscito a muoversi senza bagaglio per cercarmi e rendersi conto che sono riuscito a salire anche io sul treno.

Ad una fermata imprecisata, le ferrovie francesi si accorgono della giornata calduccia e della tragica condizione in cui sta viaggiando il popolo delle vacanze in treno, per cui decidono di rifornirci gratuitamente di bottigliette d’acqua in modo che possiamo rifarci del sudore che ci e’ colato lungo la maglietta, i bermuda e, scorrendo lungo le gambe, si e’ distribuito sui pianali delle carrozze.
Abbiamo approfittato a piu’ mani di questo inaspettato regalo riempiendoci zaini e sacche di bottigliette debitamente utilizzate durante il viaggio di ritorno in macchina.

Alla stazione di Beziers dobbiamo cambiare treno per Marseillan Plage. Questo e’ stato un colpo di fortuna, in quanto ci troviamo a passare da un convoglio a lunga percorrenza ad un trenino locale, pero’ gia’ elettrificato e non piu’ a carbone, praticamente vuoto, in cui abbiamo a disposizione addirittura due sedili a testa compresi i bagagli. Apriamo i finestrini, ci scoliamo alcune bottigliette d’acqua e mettiamo a stendere le magliette intrise di sudore.

Giunti alla stazione di Marseillan Plage, l’ultima sorpresa della giornata sta nel fatto che non riusciamo ad orientarci per raggiungere la macchina parcheggiata vicino al porto. Infatti scopriamo che la stazione sta a qualche chilometro dal mare, per cui ci sobbarchiamo un po’ di strada a piedi carrellando il bagaglio fino alla strada costiera che riconosciamo.

Massimo si ferma con i bagagli ad un bar di un maneggio in modo che io possa agilmente percorrermi un altro paio di chilometri fino al paese sul mare, recuperare la macchina che parte al primo colpo (magia della Volkswagen) e passare a riprendere Massimo che trovo quasi assopito dopo due bicchieroni dell’ultimo panache’.

In conclusione penso che questo splendido viaggio possa essere riassunto nel seguente aneddoto: per tenerci svegli a vicenda durante il viaggio di ritorno in macchina ci siamo messi a fare un semplice calcolo di tempi e ci siamo resi conto che il tragitto in canoa durato esattamente 10 giorni lo abbiamo percorso a ritroso, in treno, in esattamente due ore e mezza. A questo punto ci siamo quasi spaventati e ci siamo chiesti se non abbiamo forse buttato via un po’ troppo tempo per viaggiare cosi’ a rilento.

Credo che la risposta sia comunque negativa. Abbiamo si’ viaggiato piuttosto lentamente ma abbiamo anche fatto un tipo di viaggio che ci ha permesso di assaporare meglio le piccole comodita’ trovate lungo il percorso, i momenti di riposo circondati dalla natura e da un’architettura lontana dall’estremismo turistico che la spinge a trasformarsi e degradarsi per attirare il viaggiatore.

Abbiamo anche avuto i nostri scontri e diverbi, come credo in tutte le compagnie che si vedono costrette a condividere a stretto contatto piu’ ore del giorno, ma le abbiamo superate grazie alla comune passione del kayak e della fatica come passaggio necessario per la conquista di una meta.

Anche se effettivamente sarebbe stato piu’ comodo passare dieci bei giorni al mare, magari in una splendida isola del mediterraneo, fra bagni, pennichelle al sole e pranzi in compagnia sotto l’ombra di freschi pergolati.



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